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La Bibbia ebraica ci mette sempre davanti ad un organismo psico-fisiologico che comprende due componenti: la néfèsh ed il basar.
a) La néfèsh (l’anima). Ciò che designa questa parola nella Bibbia è complesso: la parola “anima” non ne rende l’esatto contenuto.
– La “néfèsh”, in un primo significato, è la gola. Giona, in fondo al mare, grida la sua angoscia verso Yahvé: “Le acque hanno montato fino alla mia néfèsh” (Gn 2,6); in altre parole:
Io soffoco, non posso più respirare, poiché ne ho fino alla gola!
Per metonimia, “néfèsh” designa il soffio, la respirazione, come la gola da dove passano.
– Di là si scorre al significato di: desiderio, appetito.
Esempi: “Il giusto si preoccupa della néfèsh (= dell’appetito) del suo bestiame; ma le viscere del cattivo sono crudeli“ (Pr 12,10). “La néfèsh (= il desiderio) dei cattivi si alimenta di violenza“ (Pr 13,2). Non ci si sorprenderà se, nella parola “néfèsh“, c’è sempre qualcosa di patetico.
– Nella Bibbia ebraica, “néfèsh“ finisce per significare: l’io che vive, l’essere vivente. È il caso di:
Sal 103,1: “Mia néfèsh, benedici Yahvé …“ si traduce spesso: anima mia. Diciamo piuttosto: mio essere.
Sal 84,3: “La mia néfèsh anela e desidera gli atri di Yahvé“. Si tratta del pellegrino che vuole andare a Gerusalemme e che vi si dispone prima stimolando il suo desiderio: “Il mio essere languiva (più esattamente che: la mia anima)“. Il mio essere: ciò che c’è di più profondo in me.
1 Sam 18,1: “La néfèsh (l’anima, la vita) di Giònata si era legata alla néfèsh (l’anima, la vita) di Davide, e Giònata lo amò come la sua néfèsh, (come il suo essere, come sé stesso”.
– Così la “néfèsh” è il dinamismo stesso dell’essere vivente. É l’essere vivente stesso, la persona. “Yahvé prese dell’argilla del suolo, vi soffiò sopra e divenne una néfèsh (= un essere vivente)” (Gn 2,7). Quando si vuole dire “la persona vivente“, si dice semplicemente la “néfèsh“; così quando, in Gn 12,5, ci si mostra Abramo che si incammina dal paese dell’Est fino a Canaan, si dice che c’erano con lui delle “néfèsh“, cioè della gente, delle persone.
– Occorre andare più in là. La “néfèsh“ esiste ancora nello shéol, dove ci si trova completamente indeboliti, ridotti allo stato d’ombra di sé stessi (Cf. Num 6,6): ma si dice, nel caso degli abitanti dello shéol, che la loro “néfèsh” è “morta”. La “néfèsh”, è dunque il centro di coscienza, il centro di unità delpotere vitale, è la persona concreta animata del suo dinamismo di fondo. Non dimentichiamo che non si fa filosofia nella Bibbia: ci viene dato del concreto, dell’esistenziale.
Per concludere, diremo che “la mia néfèsh” (il mio essere) sarebbe tanto ben reso in italiano dal pronome personale rafforzato “me stesso” (con quest’idea d’insistenza ed a volte d’orgoglio che si trova suggerita).
b) Il basar (la carne). La seconda componente, è il “basar” (il corpo, la carne). Non si trova mai separata dalla “néfèsh”.
In ebreo, il “basar” è la manifestazione concreta della néfèsh. L’ebraico ci mette sempre davanti ad un organismo fortemente sintetico, allo stesso tempo fisico e psichico.
Si trova la “néfèsh” attraverso il “basar”, attraverso la carne. Le diverse parti del corpo saranno considerate, in numerosi testi, come corrispondenti a diverse “facoltà”, che riguardano e riassumono la “néfèsh”. Queste “facoltà” non sono altra cosa che il “basar” (il corpo) che concentra per un momento tutta la persona:
– Il cuore è un elemento molto importante nell’Antico Testamento come nel Nuovo (Cf. Mt 15,19, ad esempio: i propositi malvagi provengono dal cuore …) il cuore è praticamente l’equivalente della “néfèsh”, ma della néfèsh incarnata. Dio vede ciò che è nel cuore, e questo cuore non deve essere “un cuore di pietra” (Ez 36,26), ma un cuore di carne, cioè un cuore permeabile. Geremia sembra avere per primo utilizzato l’espressione “la circoncisione del cuore” per significare che occorreva togliere dal cuore “il prepuzio” che gli impedisce di aprirsi a Yahvé.
– I reni. Reni e cuori vanno insieme. “Dio sonda i reni ed i cuori”: è ancora Geremia, ci sembra, che ha trovato questa espressione. I reni servono a designare la facoltà dei pensieri segreti, delle sensibilità e delle volontà nascoste.
– Il fegato, è la facoltà delle sensazioni elementari. Da ravvicinare all’espressione italiana “mangiarsi il fegato”, “si riversa per terra la mia bile”, dice il Geremia delle lamentazioni (Lam 2,11).
– Altri elementi del corpo sono utilizzati per tradurre la persona. Il Salmo 16 ci mette davanti questo insieme di facoltà:
Io benedico Yahvé che mi ha dato consiglio; anche di notte, i miei reni (Bibbia CEI: il mio animo) mi istruiscono …
…………………………………….
Per questo gioisce il mio cuore, le mie viscere (Bibbia CEI: la mia anima) esultano, e la mia carne (basar)(Bibbia CEI: il mio corpo) riposa al sicuro …
(Sal 16, 7-9)
Vedere anche il salmo 84. Quando si dice in Malachia 2,7: “Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza”, la personalità del sacerdote interamente concentrata e riassunta nelle sue labbra, poiché la sua funzione è di essere colui che parla, il messaggero di Yahvé. Ugualmente ancora, in Sal 35,9-10, si legge: “La mia néfèsh (il mio essere) (Bibbia CEI: l’anima mia) esulta in Yahvé … tutte le mie ossa dicano: Yahvé, che è simile a te?“.
Il sangue, l’orecchio, le ossa: altrettante “facoltà” che possono manifestare in modo concentrato tutta la personalità.
2. Ciò che dà la sua consistenza al composto “néfèsh-basar”: la “ruah” (lo spirito).
Ecco l’elemento che è forse il più interessante, che vi apparirà come il più nuovo: la “ruah” (spirito). Senza la “ruah” il complesso psicofisiologico “néfèsh-basar” non vivrebbe, non avrebbe consistenza. La “Ruah” è una forza vitale prestata dall’alto che mantiene in piedi l’essere vivente.
In Gn 2,7 noi vediamo Dio soffiare, inviare una “ruah”, uno spirito, sull’argilla che ha appena lavorato. E questa “ruah” dà consistenza all’uomo, fa dell’argilla modellata una “néfèsh” viva, un essere vivente.
Nella Bibbia, la malattia è presentata come una perdita di ruah: quando si è malati, è lo spirito (ruah) che ci abbandona più o meno, “si versa la propria anima”, dice la Bibbia. La malattia è uno squilibrio, mentre che il recupero della salute suppone che ci si “ricarichi” di “ruah”, o più esattamente che Dio ci “ricarichi” del soffio, del suo soffio.
Presso gli Ebrei, tra la malattia e la morte, non c’è che una semplice differenza di più o di meno: la malattia è un inizio di morte. La morte, è la privazione quasi totale di “ruah”, di soffio. – Diciamo che alla morte, la “néfèsh” è “scaricata” al massimo, essa non è altro che una specie di borsa vuota, che non sta più in piedi. Ma nello shéol, non si ha tuttavia una cancellazione totale dell’essere – altrimenti non si sarebbe potuta pensare, venuto il giorno, la resurrezione. Nello shéol si ha una vita, ma una vita diminuita, sotto una forma molto debole; si è in una situazione di perdita quasi completa di energia vitale – si è nella situazione inversa di quelle persone che il salmista vede di mal occhio e che sono “piene” di vita e di grasso (Cf. Sal 73).
Il sonno anche è una perdita di “ruah”. Il Salmo 104 evoca gli esseri viventi (gli uomini, gli animali) che vanno a dormire: allora lo spirito li lascia (poiché anche gli animali hanno la “ruah”). Ma la mattina, ecco che con il sole, Yahvé invia il suo spirito in tutti gli esseri viventi, e questi si rimettono sui loro piedi, si tengono in piedi (Sal 104,29-30).
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